Pubblichiamo il testo di un'e-mail di un giovane di Jesi che ha vissuto, insieme ad altri 30 giovani della diocesi, l'esperienza di una settimana in Abruzzo.
Il testo, così come il filmato allegato, costituiscono una testimonianza significativa che parla della voglia di esserci e di condividere una scelta con altri, dello stile semplice con cui farsi portavoce di un invito e poi stare nei luoghi, del modo in cui l'esperienza ha fatto crescere chi vi ha partecipato. Una buona lettura per tutti i nostri giovani ed adulti, oltre che per chi nelle diocesi organizza il momento formativo per i volontari.
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Caro Michele,
Cari ac-jesini!
Vi scrivo a fine settembre, in vista del nuovo inizio delle vostre attività coi giovani e ragazzi. Vi scrivo per raccontarvi un po’ di quello che è successo prima e durante quest’estate, con alcuni ragazzi della nostra diocesi. A L’Aquila. Immagino infatti che a diversi di voi sarà giunta voce che alcuni ragazzi della diocesi di Jesi sono stati a fare un campo di servizio a L’Aquila.. e magari a qualcuno è pure giunta voce che questi ragazzi si spacciavano per “azione Cattolica”, e magari qualcuno, a questo punto, avrà pure storto il naso…
Piccola premessa: forse non tutti lo sanno, ma da quest’anno anche io sono tesserato AC. Ho preso questa decisione con entusiasmo, perché pur non rinnegando il mio percorso in Agesci, sento che l’Azione Cattolica è in grado di propormi un percorso più adatto, completo, presente per la mia età, per i miei problemi, dubbi, interessi. Ho preso questa tessera anche con umiltà, consapevole di inserirmi in un’associazione fatta soprattutto da persone che ci sono cresciute, che hanno condiviso un percorso, metodi, contenuti che io oggettivamente non ho fatto.
Ma andiamo a come è nata questa storia dell’Aquila..
Penso fosse tipo maggio.. e in uno dei tanti viaggi in macchina verso roma, con Roberta (lei sì che è tesserata standard, a tutti gli effetti!!) ci buttavamo timidamente a guardare all’estate, e a pensare a una qualche forma di vacanza, finiti gli esami. È un problema più difficile di quello che può sembrare! Serve la giusta compagnia, la giusta meta, la giusta data.. insomma, ci vuole un po’ di impegno, per non buttare via i soldi..
Così, d’improvviso o quasi, torna un pensiero. A tutte quelle persone che i loro progetti, per quell’estate, li avevano dovuti abbandonare. A tutti quei ragazzi come noi. A quella mattina di aprile, quando svegliatomi tardi sono corso all’università senza nemmeno aprire internet, e ho saputo del terremoto da un messaggio di mamma. A quella mattina che seguivo la lezione, e su internet col cellulare leggevo di chi scavava coi pugni tra le macerie della casa dello studente… Dalla finestra sinistra della mia aula, si intravede la casa dello studente della Sapienza. Qualche centinaio di chilometri di distanza, dietro l’angolo.
Il trauma grosso che era stato vedere, sentire, capire quello che era successo, era davvero finito lì? Tutto in umanissima compassione?
Noi qui, a chiederci dove andare a svaccarci una settimana in agosto, e loro là, sassi e macerie nelle strade, nella mente e nel futuro.
E allora una sera decido di buttare giù quello che era stato il “mio terremoto”, quello che aveva scosso in me.. Il sentirmi cosi simile a quei ragazzi. Ho scritto una mail, e l’ho mandata a una ventina di indirizzi. Amici di una vita, conoscenti, compagni di scout, parenti. Senza un criterio preciso. Con la voglia di condividere, e proporre un qualcosa.
In un attimo, qualche giorno, vengo travolto da decine di risposte di un’intensità inimmaginabile. Eppure lo sapevo, non eravamo gli unici, ad aver vissuto tutto questo. Ognuno racconta il “suo terremoto”, il suo perché. Detto cosi, può sembrare banale. Ma vi assicuro che fra tutte quelle mail, non ce ne era una che non fosse scritta col cuore. Si capiva.
E ognuno ha dato il suo sassolino, la sua disponibilità. Perché se è vero che il dono vero non è quello del superfluo, come dice Gesu, è anche vero che sarebbe assurdo rinunciare a studi ed esami, aggiungendo rinunce a rinunce.
Dopo la mail, il passa-parola.. si delineano due gruppi, uno 1-8 agosto, l’altro 15-22. Una trentina di persone.
Allo stato attuale, meglio sottolinearlo, è solo un sogno. Niente e nessuno ci ha detto “venite con noi in Abruzzo”, o “vi ospitiamo noi”. Adesso, c’è solo la voglia di partire, il desiderio di servire.
Eppure un desiderio quando è forte, è difficile da arrestare. E così, scartata l’ipotesi CSI, un passo prima della disperazione, arriva provvidenziale la mail di Marina Girini “l’Azione Cattolica per l’Abruzzo”. C’è un indirizzo email. Scrivo e racconto. Dopo dieci minuti mi chiamano.
E cosi, siamo partiti.
Alla fine partiamo in 31, perché quando tornano i primi, la voce si è sparsa ancora.
Ad ospitarci è l’Azione Cattolica, ma presso il campo Caritas della regione Umbria, l’unico dei campi Caritas sulla zona ad accogliere davvero tutti. Giovani, adulti, anziani, suore, preti, atei, stranieri, amici di amici, conoscenti.. chiunque abbia voglia di rendersi utile, e di farlo insieme.
Si lavora, mille lavori diversi: dal semplice stare con la gente, allo zappare, picconare, stare in cucina, il grest coi bambini, i traslochi delle famiglie..
È un esperienza meravigliosa. Che ci ha segnato tutti. E ha lasciato in tutti la voglia di non tornare indietro. Innanzitutto perché, come ci ha detto una sera un ragazzo aquilano, “qui i muri sono venuti giù. Ma tutta quella sofferenza che vedete negli occhi della gente, pensate che anche da voi, anche dove ci sono ancora i muri a coprirla, lei c’è.”
E poi perché anche se adesso stanno smontando le tendopoli, e le famiglie si stanno trasferendo chi nelle nuove casette, chi in albergo, chi, costretto, nelle case giudicate agibili, la sofferenza che abbiamo visto laggiù, impiegherà anni a svanire. Anzi, probabilmente non svanirà mai. Perché è una sofferenza che, passato il trauma, rimane leggera, quasi infida, a rendere tristi le cose più naturali. Come il dormire, con in mente quella notte. O la doccia, come fossi in camping, da 5 mesi però... O il cenare, servito, sì, e forse pure riverito. Ma in un posto che non è la tua cucina, non è la tua casa, con piatti e posate di plastica, da cinque mesi.
Questo è quello che è successo, tutto qui! Spero che capiate che non ho voluto scavalcare nessuno.
Un invito, però, ve lo faccio: pensare che quell’entusiasmo nelle mail, quella voglia di partire, l’impegno messi laggiù per essere utili a quella gente, il fatto che tutto questo avrebbe potuto restare dentro, inespresso, strozzato, se per qualche motivo non fosse partito questo gruppo... beh, mi fa sentire in colpa. Perché, come stuoli di vecchine ci hanno ripetuto quasi quotidianamente laggiù, “non è vero che i giovani di oggi sono tutti egoisti e pensano solo a divertirsi”. Non ci stiamo spacciando per santi, per carità! Abbiamo donato una settimana del nostro riposo più o meno meritato, ma quello che abbiamo ricevuto in cambio ci ha ripagato così abbondantemente, che abbiamo condiviso la sensazione di essere in debito noi, con quella gente.
Allora stiamo attenti, a cogliere i segnali di questa forza che i giovani hanno dentro. A saperla cavalcare e indirizzare, perché “porti molto frutto”.
Prima di salutarvi, vi lascio il contatto di Don Marco Gasparri, capo caritas della regione Umbria, che gestisce il campo che ci ha accolto...: orsomg@tiscali.it
Il campo, starà lì due anni. E da adesso in poi, manco a dirlo, spenti i riflettori, finita l’estate, viene il difficile. Per questo, ci ha detto Don Marco, altri ragazzi, giovani, adulti che volessero donare parte del loro tempo, sono come manna dal cielo! Basta inviargli una mail, con i dati (nome, n doc identita, data di nascita..) dei partecipanti, per questioni assicurative.
L’Aquila è a due ore nette di macchina.
Dietro l’angolo.
Vi saluto tutti, e colla più sincera stima e pure ammirazione, vi auguro un buon anno associativo, compagni ac-jesini!!!
Francesco Collamati
p.s. dopo tutte queste parole, rilassatevi un po’.. guardate qua.. perché forse questo sì, che vale più di mille parole... http://www.youtube.com/watch?v=k13b66d6bqA
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